Abili a proteggere ha intervistato il 17 giugno Stella Egidi, responsabile medico di MSF, Medici Senza Frontiere, in azione per supportare la risposta alla diffusione del nuovo coronavirus (COVID-19). L'intervento si è esteso in oltre 70 paesi tra Europa, Africa, Medio Oriente, Asia, Oceania e America. Medici Senza Frontiere è un'organizzazione internazionale non governativa, fondata il 22 dicembre 1971 a Parigi da medici e giornalisti, che si prefigge lo scopo di portare soccorso sanitario ed assistenza medica nelle zone del mondo in cui il diritto alla cura non è garantito. Di seguito l'intervista a Stella Egidi.
Quali attività sono state messe in campo da Medici Senza Frontiere a supporto della popolazione vulnerabile? In quali ambiti e verso quale fascia di popolazione vulnerabile avete concentrato il vostro operato?
L'intervento svolto in Italia si è orientato a rispondere ai bisogni della popolazione vulnerabile. Sono emerse nuove vulnerabilità durante questa epidemia e di cui è stato importante tenere conto: quella degli anziani in primis, una categoria che noi tradizionalmente non ci troviamo ad assistere semplicemente perché, soprattutto in contesti ad alte risorse come è appunto il nostro Paese, non vi è necessità di concentrare delle attività su questa particolare popolazione proprio perché trova già delle risposte adeguate da parte del sistema sanitario. In questo caso invece abbiamo visto che è stata una delle popolazioni più colpite dal virus e che ne ha purtroppo subito anche le conseguenze più devastanti, per cui nell'ambito dei nostri interventi a livello nazionale, sia in Lombardia che nelle Marche che a Roma, gli ospiti delle case di riposo, delle RSA sono sicuramente stati tra i principali target delle nostre attività. L'altra popolazione, che tradizionalmente assistiamo e verso la quale ci siamo sempre indirizzati nelle nostre attività sul territorio italiano, è quella rappresentata dalle cosiddette fasce marginali di popolazione: in particolare i migranti, le persone senza dimora, tutte le persone che hanno già in tempi normali difficoltà ad accedere ai servizi sanitari e ad avere condizioni di vita soddisfacenti e per le quali proprio durante l'epidemia da covid le condizioni di vita e l'accesso all'assistenza sanitaria sono diventate ancora più complesse. In particolare nell'area di Roma, attraverso una collaborazione già in piedi con l'Asl Roma 2, abbiamo dato supporto a questa popolazione anche semplicemente nell'applicazione di misure di prevenzione e di controllo dell'epidemia, raccomandate a tutta la popolazione in Italia, come l'isolamento domiciliare nel corso del lockdown, la permanenza a casa, evitare i contatti sociali e così via. Applicare queste misure a una popolazione che la casa spesso non ce l'ha e che quando ce l'ha vive in condizioni igienico-sanitarie estremamente precarie si può immaginare quanto difficile.
Quali sono stati i paesi più interessati in cui avete concentrato le vostre attività?
Sono stati e lo sono tuttora e purtroppo lo saranno, perché l'ondata epidemica a cui abbiamo assistito in Italia, si sta espandendo su altri paesi. Noi siamo attivi in generale in più di 70 paesi al mondo. Riguardo al Covid, stiamo in questo momento intervenendo in circa 40 paesi, molti dei quali erano quelli dove già operavamo, altri sono paesi nei quali abbiamo avviato nuovi interventi e su tutti stiamo cercando di supportare i sistemi sanitari, i Ministeri della Salute, nell'intensificare sia la risposta di assistenza sanitaria a livello ospedaliero, che più in generale risposte a livello comunitario attraverso programmi di promozione della salute, educazione sanitaria, insegnamento del corretto utilizzo dei dispositivi di protezione, della messa in atto di tutte le misure preventive sia a livello comunitario che di strutture ospedaliere. In particolare il Brasile in questo momento è forse il paese che è colpito in maniera più severa dall'epidemia, si sta parlando di milioni di persone contagiate, nel quale stiamo intervenendo soprattutto nelle aree più periferiche del paese. Il Brasile è un paese immenso con estremi dislivelli anche in termini economici e sociali e ci sono aree più ricche e con una migliore assistenza sanitaria ed aree dove anche il Ministero della salute stesso ha difficoltà ad arrivare, noi ci stiamo proprio concentrando in queste aree, nella regione amazzonica, a Manaus, a Boa Vista e in altri centri maggiori dove stiamo cercando di supportare soprattutto le cure ospedaliere, rafforzando gli ospedali locali sia nelle terapie intensive che nella gestione più generale dei casi ospedalizzati.
Cosa contraddistingue l'intervento di Medici Senza Frontiere nell'ambito dell'emergenza coronavirus rispetto ad altre emergenze sanitarie e quali insegnamenti possiamo trarre da questa esperienza?
Questa è una bella domanda e devo dire che è stata una domanda che ci siamo posti anche noi. Sicuramente è stata un'epidemia del tutto nuova su cui abbiamo dovuto tutti imparare soprattutto all'inizio e ci siamo dovuti un po' improvvisare nella risposta. Per noi è stato sicuramente eccezionale il fatto di dover intervenire in un Paese come il nostro con un sistema sanitario più che eccellente e dove tradizionalmente non interveniamo noi in genere, interveniamo in paesi dove l'assistenza sanitaria è estremamente precaria e deficitaria e dove ha quindi più senso il nostro ruolo e il nostro lavoro. Direi che in questo caso è stata sicuramente interessante la possibilità di portare un approccio diverso, che applichiamo e abbiamo applicato in altri contesti e in altre epidemie, in un sistema sanitario che a livello internazionale rappresenta un'eccellenza.
In particolare quello che si è imparato, o forse riconfermato perché lo avevamo imparato già in altri contesti, è la necessità di affrontare l'epidemia sempre su più livelli e in maniera trasversale, non concentrandosi soltanto su un pilastro della risposta quale può essere l'assistenza ospedaliera, ma andando a modulare ciascun intervento rispetto agli altri ricordandosi che un'epidemia è un nemico che si combatte su più campi di battaglia, quindi all'interno degli ospedali e nella comunità. Fondamentale quindi assicurare ai pazienti già affetti dalla malattia l'adeguato supporto e assistenza sanitaria e lavorare a livello comunitario su tutti quei contesti in cui si può intervenire con programmi di promozione della salute, di educazione sanitaria, di prevenzione e controllo delle infezioni. Penso alle associazioni che lavorano sul territorio, a tutti coloro che lavorano in prima linea non solo i sanitari, ma anche i Vigili del fuoco, la Polizia e tutte quelle figure di riferimento nella comunità che si trovano ad essere in prima linea rispetto all'esposizione e ad essere anche i principali attori che veicolano un messaggio di educazione sanitaria corretto e adeguato. Mi auguro che questo aspetto venga ancor più sviluppato nei mesi a venire. Quindi è necessario lavorare sulla costruzione di una prevenzione più capillare, rafforzando il territorio.
L'intervista è disponibile nella versione integrale e sottotitolata sul nostro canale youtube Abili a proteggere. Niente di Speciale è la sezione del sito dedicato alle interviste della redazione Abili a proteggere, perché non esistono bisogni speciali ma specifiche necessità.
Ringraziamo il responsabile medico di Medici Senza Frontiere, Stella Egidi, per la disponibilità dimostrata e Paola Longobardi, Ufficio Stampa MSF, per la collaborazione.
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