Intervista a Sabina Savagnone, ARPA: coronavirus, autismo e inclusione

Intervista a Sabina Savagnone, presidente dell’ARPA, Associazione Italiana per la Ricerca sulla Psicosi e l’Autismo: emergenza, coronavirus, autismo, centri diurni e inclusione sociale
bambino con autismo di schiena

Abili a proteggere ha intervistato il 10 aprile Sabina Savagnone, presidente dell’ARPA, Associazione Italiana per la Ricerca sulla Psicosi e l’Autismo, che si occupa dell’Autismo dal 1983 con lo scopo di associare genitori, parenti e tutori di persone con autismo e con disturbi della comunicazione. Promuove formazione culturale e sociale e vuole favorire la Ricerca attraverso Seminari e di Studi. Di seguito l'intervista alla presidente Sabina Savagnone.

Come stanno vivendo le persone con autismo e disabilità cognitiva questa emergenza?

Devo fare una premessa, le persone con disabilità intellettiva in particolare con autismo, già prima del coronavirus vivevano in una condizione molto difficile a causa della mancanza di servizi e quindi una situazione di grande difficoltà gestita al 90% dalle famiglie. L’autismo, inoltre, colpisce tutte le categorie sociali. Faccio queste considerazioni di fondo per capire le difficoltà che oggi maggiormente stanno vivendo le persone disabili. La scelta delle istituzioni scientifiche e del Governo di tenerci a casa e separati naturalmente è una scelta giusta, perché non sappiamo come difenderci da questo sconosciuto che ci ha colpito in maniera così significativa, ma immaginare un bambino autistico in una casa piccola è una cosa drammatica. Lo scarico di forza che avviene quando ognuno di noi esce, fa una passeggiata, vale molto di più per una persona autistica: lo spazio e la corsa sono una esigenza vitale. Perciò stanno vivendo in una situazione drammatica non solo le persone autistiche, ma anche le famiglie perché sono sovraccaricate: prima i bambini andavano a scuola e quelli più grandi ai centri diurni e la famiglia aveva un arco di tempo nella giornata in cui era libera e la persona disabile aveva le cure necessarie e attenzioni. 

Dopo questo iniziale periodo, ora è importante trovare delle soluzioni alternative. Per esempio le case famiglie delle persone disabili sono rimaste aperte perché i disabili vivono nelle case famiglia. Questo significa che gli enti si sono organizzati, hanno fatto indossare guanti e mascherine e fatto fare tamponi. Ora questo discorso dovrebbe essere applicato a tutte le altre persone disabili: i centri diurni, secondo me, dovrebbero essere riaperti, a seguito del tampone a tutti gli operatori e ragazzi, in modo che la vita possa riprendere. L’accumulo di tensione è anche un accumulo di forza fisica e se queste persone con autismo esplodono sono capaci di qualunque cosa, non perché ne siano responsabili, ma perché è questa situazione drammatica che li congestiona.

Ci vorrebbe un momento sereno di riflessione in cui mettiamo insieme le istituzioni scientifiche, il Governo e le organizzazioni delle famiglie per un confronto aperto. Ho sentito qualche giorno fa un esempio bellissimo di una casa di riposo, nel milanese, dove gli operatori, responsabilmente, avendo paura di muoversi dal centro alle loro case, hanno scelto per un mese di rimanere nella struttura residenziale per anziani e stanno tutti bene. In Italia ci sono tante persone capaci di capire e affrontare le cose nel senso giusto. Ora percepiamo soltanto terrore in TV. La Regione Lazio sta chiedendo agli enti una riconversione degli operatori, chiedendo di fare gli interventi a casa. Dobbiamo stare a casa senza vedere nessuno oppure se iniziamo a far venire gli operatori il pericolo non è il medesimo? I centri diurni sono caratterizzati proprio perché sono un momento di inclusione sociale, prima di ogni cosa, e poi sono anche un momento terapeutico e di supporto.

Se i centri rimangono chiusi ancora per molto noi abbiamo distrutto tutto quello che avevamo e come si ricostruisce? Noi famiglie come ci adeguiamo a questa situazione, sono previsti interventi per le famiglie dei disabili? Siamo i cittadini inesistenti, paghiamo le tasse come tutti però non esistiamo. Siamo noi l’unico supporto sociale dei nostri figli, noi facciamo gli infermieri, i medici, i cuochi, gli assistenti, i terapisti, svolgiamo tutti i ruoli senza che ciò ci venga riconosciuto in alcun modo.

Alla luce di queste criticità che supporto riesce a dare Arpa in questa emergenza?

Le famiglie si aiutano e supportano tra loro. Abbiamo un gruppo di volontari tecnici che cerca di aiutare, di dare indicazioni pedagogiche tramite skype su come portare avanti le attività. Ci aiuta la comunità di Sant’Egidio e la Croce Rossa soprattutto nella consegna di farmaci. Ci sarebbe bisogno anche di informazioni e indicazioni mediche e alimentari su come rafforzare le difese dell’organismo, perché aiuterebbe almeno psicologicamente le persone.

C'è poi il tema dei ricoveri nelle strutture sanitarie e del distaccamento dai familiari: le persone con autismo non possono essere lasciate sole in ospedale, senza consentire le visite di un familiare, né tanto meno lasciate sole in casa se il familiare che se ne prende cura viene ricoverato. 

Abbiamo bisogno di accettare con maggiore serenità questo virus, di consentire alle persone con disabilità e alle famiglie di vivere più all'aria aperta e di maggiore umanità rispetto ai bisogni delle persone con disabilità e famiglie, sia per i ricoveri sia per i centri per disabili.

Ringraziamo Sabina Savagnone per il tempo e la disponibilità dimostrata.

Riportiamo di seguito una delle faq pubblicate dall'Ufficio per le politiche in favore delle persone con disabilità della
Presidenza del Consiglio dei Ministri sul tema uscite. 

EMERGENZA CORONAVIRUS faq DISABILITà

Mio figlio\a necessita di poter uscire saltuariamente di casa poiché, per la sua disabilità cognitiva, intellettiva o relazionale (ad esempio: autismo) la permanenza prolungata potrebbe peggiorarne la condizione di salute. Sono consentiti in questo caso gli spostamenti? Si può uscire restando nei dintorni di casa, rispettando le regole di distanziamento sociale per prevenire il contagio del virus. È permesso camminare in prossimità della propria abitazione e fare attività motoria, ma non sportiva. L'esigenza deve essere autocertificata, indicando la ragione di "necessità". Inoltre è consigliabile, anche se non obbligatorio, munirsi di altra documentazione che ne attesti la condizione di disabilità o le  specifiche necessità (ad esempio: certificato attestante la condizione fisica o di disabilità rilasciato dal proprio medico curante o dalla struttura che segue l'assistito). In questo caso è consentito l'accompagnamento della persona (a prescindere dalla sua età) perché rientra nelle motivazioni di necessità o di salute. La raccomandazione è comunque quella di rimanere a casa per evitare di contagiare sé stessi e gli altri.

Interviste Niente di Speciale: Coronavirus e disabilità 

Articoli correlati:

Link utili: Arpa