Seminario Né Poveretti né Speciali: l’approccio comunicativo verso la disabilità

Né Poveretti né Speciali: Seminario di formazione per giornalisti a Roma per diffondere una cultura comunicativa corretta e inclusiva sul tema della disabilità 
Né Poveretti né Speciali: Seminario di formazione per giornalisti a Roma per diffondere una cultura comunicativa corretta e inclusiva sul tema della disabilità

Il 19 Gennaio si è svolto il Convegno Né Poveretti né Speciali promosso dal Dipartimento per le Pari Opportunità del Consiglio dei Ministri, Superabili e Redattore Sociale allo scopo di formare i giornalisti sul modo corretto per comunicare la disabilità e individuare priorità, modalità e mettere al bando “brutte parole” e “false credenze”, aiutando gli operatori della comunicazione a diventare più precisi quando si occupano di disabilità. E Inail si impegna “affinando ogni giorno gli strumenti per costruire il cambiamento culturale verso una società inclusiva”.

Apre i lavori del seminario Né Poveretti né Speciali la dott.ssa Giovanna Boda, Capo Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri per le Pari Opportunità, che ha accolto favorevolmente l'iniziativa e assicura che  “le proposte che raccoglieremo in questa e in altre sedi diventeranno atti istituzionali”.

Ad iniziare il programma d'interventi di riflessione sulla “cultura della disabilità” è Alessia Pinzello, dirigente della Direzione centrale Prestazioni socio-sanitarie dell’Inail, che dal 2001 promuove SuperAbile Inail, contact center integrato sulla disabilità, costituito da un portale d’informazione, una rivista mensile e un call center: “Dalla sua originaria funzione prettamente assicuratrice e risarcitoria, Inail ha dato vita a un sistema di presa in carico globale dei lavoratori”. Proprio questa “continuità con la persona con disabilità nel ritorno alla vita ha sviluppato una sensibilità dell’istituto che intende dare il proprio contributo a quel cambiamento culturale che solo può essere alla base di una società inclusiva."

Sui quattro atteggiamenti più diffusi nei confronti della disabilità si è soffermato Stefano Trasatti, direttore editoriale di SuperAbile Inail e responsabile comunicazione di CSVnet: il primo atteggiamento è quello del pietismo o compassione, che comporta l’intenzione di commuoversi e far commuovere fino alle lacrime. Questo atteggiamento porta con sé l’infantilizzazione della persona, cui si dà invariabilmente del tu. Per chi si pone in questa modalità, la persona disabile è invariabilmente buona, mite, rassegnata, sorridente, asessuata e priva di pulsioni, concentrata sul suo essere disabile, come se lo facesse di mestiere, un angelo a cui  viene negata la possibilità di essere egoista”. Il secondo atteggiamento è quello della prevaricazione e del disprezzo, che è nel sottotesto di molte rappresentazioni”. Il terzo atteggiamento è quello della ammirazione, esaltazione, morbosità, che rappresenta i disabili come eroi e insiste su storie curiose e bizzarre”. Il quarto atteggiamento, “più raro, è quello della leggerezza e ironia, suggerito ultimamente dai due spot di Checco Zalone per l’associazione Famiglie Sma. Ci sono quindi problemi da affrontare, nel modo di rappresentare la disabilità. Primo, la sostantivizzazione della disabilità, per cui la persona sparisce dietro la sua disabilità; secondo, l’appiattimento delle disabilità; terzo, la superficialità e leggerezza, intesa come scarsità di conoscenza su aspetti tecnici”. E ci sono, infine, parole da mettere al bando, quando si parla di disabilità: come quelle contenute nella guida “Parlare civile” pubblicata da Redattore sociale, che elenca alcuni termini che, quando si parla di disabilità, non dovrebbero più comparire: come “invalido”, “handicappato”, “disabile”, “non vedente/non udente”, “diversamente abile/diversabile”, “speciale”, “normodotato”, “costretto sulla sedia a rotelle”, “affetto da disabilità”, “subnormale”, “infermo”, “impedito”, “mongoloide”, “minorato”, “storpio”.

Ne corso del seminario Né Poveretti né Speciali, si è parlato anche di lavoro, grazie alla testimonianza di don Andrea Bonsignori sacerdote, co-direttore dell’ente morale Piccola Casa della Divina Provvidenza e direttore della Scuola Cottolengo, che da anni scommette sulla possibilità delle persone con disabilità di essere “lavoratori capaci e spesso migliori degli altri, purché siano inseriti in un contesto in cui le loro potenzialità possano emergere”. Un lavoro non “per finta”, perché non è solo “terapeutico” per il lavoratore, o soltanto un “obbligo” per il datore di lavoro, ma un vero e proprio investimento. Una possibilità resa concreta e reale grazie alle leggi e agli strumenti economici oggi disponibili e che sempre di più saranno disponibili, che sono stati ampiamente illustrati da Roberto Randazzo, avvocato, che negli ultimi anni ha sviluppato nuove aree di consulenza negli ambiti dell’innovazione, sia d’impresa che sociale.

Un percorso storico sull’atteggiamento delle diverse società nei confronti delle persone disabili, dalla cultura babilonese che definiva la disabilità come una punizione divina all’eugenetica, dall’abbandono ed esclusione a cui erano condannate nell’universo greco all’approccio sociale della Convezione Onu. Questo il filo conduttore dell’intervento di Donata Vivanti, presidente di Autismo Italia onlus e vicepresidente dell’European disability forum“Molte parole come imbecille o cretino sono di derivazione medica perché indicavano disabilità intellettive. Ma le persone con disabilità vogliono il passaggio dal modello medico al modello basato sui diritti, abbandonando l’atteggiamento che sottolinea i deficit e produce servizi per curare la persona, rendendola non disabile”. Questo modello basato su pregiudizi, secondo Vivanti, deriva da una negazione della disabilità. La relatrice ha parlato dell’Italia come di un paese “istituzionalizzante” dove l’86% delle persone con disabilità fuori famiglia vive in residenze sanitarie assistite, il 6% in strutture con 20-25 posti e solo il 2% in comunità alloggio. “Uno studio europeo dice che i servizi inclusivi funzionano meglio e costano meno, con un migliore rapporto efficacia prezzo. Il mantenimento dei servizi segreganti non ha nulla a che fare con i diritti e le necessità delle persone con disabilità. Non ha nulla a che fare anche con le esigenze di bilancio. Ci dicono che vivere a casa propria costi troppo. Quando mi faranno vedere un’analisi effettiva dei costi ci crederò”.

È giusto il problema del linguaggio, ma entro certi limiti mi sento abbastanza tollerante e comprensivo”, ha detto Giovanni Merlo, direttore e responsabile della comunicazione della Lega per i diritti delle persone con disabilità (Ledha). “Ma è molto più importante quello che pensiamo: il modo che ognuno di noi ha di pensare la disabilità, ha chiarito, sottolineando anche come attenersi alle prescrizioni non sia di per sé sufficiente. “La prima questione è che quando si parla di disabilità non è possibile essere neutrali, si è dentro un dibattito, una frattura, una rivoluzione. E di fronte a una rivoluzione o si è dentro o si è fuori” ha aggiunto, facendo l’esempio della legge 112, la cosiddetta legge sul Dopo di noi. “Per fare passare questa legge abbiamo dovuto chiamarla legge sul Dopo di noi, dando per scontato che una persona disabile viva fino a che può con i suoi genitori. Così quando parliamo di ‘Dopo di noi’ diciamo che tutto sommato questa cosa va bene. Ma è veramente il migliore dei mondi possibili?”. Per il presidente della Ledha, dunque, quando si tratta di disabilità sarebbe utile trovare le parole giuste oltre che quelle sbagliate. Ma si tratta di parole che riguardano soprattutto il modo di reagire a quanto avviene intorno a noi. “Proporrei alcune parole da usare in modo ordinario quando si parla di persone con disabilità e una di queste parole è discriminazione. Quando qualcuno fa qualcosa che riguarda le persone con disabilità bisogna sempre chiedersi se quell'azione alimenta o abbatte la discriminazione. Un’altra parola è segregazione: i dati dicono le persone con disabilità vivono in condizione di separazione. Per ogni iniziativa bisogna allora chiedersi se si favorisce l’inclusione o la separazione”.

Questo convegno ha lanciato ottimi spunti di riflessione e fornito strumenti concreti per aiutare gli operatori della comunicazione a diventare più precisi quando si occupano di disabilità. 

PROGRAMMA SEMINARIO (PDF)

Fonti: Superabile, Redattore Sociale

Link utili: Parlare Civile, Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento per le Pari Opportunità